Sellaronda Trail Running 2012
- Dettagli
- Creato Giovedì, 15 Novembre 2012 07:50
- Scritto da Herbert
Dopo due trasferte fuori regione (in Piemonte a Cantalupo Ligure e in Valle d'Aosta a Morgex) è tempo di correre un trail in casa. Mi lascio sfuggire la “Maddalene Sky Marathon” a fine agosto, gara a pochi chilometri da casa, preferendo il caldo dell'Elba. Decido così di partecipare al “Sellaronda Trail Running”, gara che già dai numeri (54 chilometri e 3.500 metri di dislivello positivo) si presenta come tutt'altro che un ripiego.
La corsa è alla sua seconda edizione ed i presupposti ci sono tutti affinché possa diventare una classica come le omonime sorelle che si disputano in inverno con gli sci da alpinismo e d'estate in bici. Le Dolomiti, patrimonio dell'umanità, sono la location di questo evento. Quest'anno partenza e traguardo spettano a Corvara (Val Badia) e più precisamente a Colfosco, il centro abitato più alto della valle con i suoi 1.645 metri sul livello del mare.
Sarò in buona compagnia visto che i miei amici Luca, reduce dal prestigioso Trofeo Kima, e Franco, il più riposato dopo la sua vacanza malese, saranno con me alla linea di partenza.
Ci portiamo sul posto la sera prima per ritirare il pettorale e dopo una sostanziosa cena ci ritiriamo in camera per preparare lo zaino ed il materiale da portare in gara.
La notte passa tranquilla nonostante molti pensieri affollino la testa nell'oscurità della stanza prima di cadere tra le braccia di Morfeo ed al 4.30 siamo già in piedi, colazione, ultimi preparativi e via verso la piazza del paese dove, alle 6.00 in punto, è prevista la partenza.
E' ancora buio e fa piuttosto freddo, ci scambiamo qualche battuta per allentare la tensione e quando lo starter da il via scattiamo seguendo la staffetta che in bici ci guida per i primi due chilometri di discesa fino a quello che sarà il vero e proprio inizio della nostra fatica: l'ascesa al Bec de Roces, nei pressi del passo Campolongo. Si sale alternando sentieri a forestali che attraversano i verdeggianti prati che l'inverno, coperti di neve, si trasformano in veloci piste da sci. Su questa prima salita i più forti hanno già preso il largo e, dopo aver scollinato, il resto del gruppo si sgrana definitivamente sulla prima discesa che conduce al rilevamento cronometrico di Arabba. Io mi sento particolarmente bene e dopo aver rotto il fiato a metà della prima salita affronto con decisione la seconda, quella con il dislivello maggiore della giornata e che ci porterà al passo Pordoi.
Sono solo: Luca è partito “allegro” mentre con Franco ho fatto un tratto assieme per poi partire prima dello scollinamento. La solitudine, quando si sta bene, non è un problema. I panorami che mi circondano mi danno la carica, queste montagne mi trasmettono energia e forza: la fatica fa parte del gioco ed anzi contribuisce a rendere ancora più grande quello che si sta cercando di portare a termine. Ogni tanto mi fermo ad ammirare e fotografare qualche scorcio di incontaminata natura, poi i passi di chi mi segue ridestano il mio lato agonistico e riparto rinfrancato, seppure solo nello spirito!
Lungo il monotono traverso che porta al passo Pordoi, poco prima del valico, riconosco il passo del corridore che mi precede. E' il mio mentore e non posso esimermi dall'esclamare “Luca: si batte la fiacca!”. Lui si volta e mi sorride, dice di essere un po' affaticato, però si adegua al mio passo e assieme raggiungiamo il ristoro prima di tuffarci nella ripida discesa che ci porterà a Canazei. Siamo al giro di boa: al rilevamento cronometrico lo speaker urla il nostro nome, ma in tutta sincerità io sono più interessato al ristoro. Dal primo tratto di salita si vedono gli atleti che ci seguono e devono ancora terminare la discesa per Canazei: tra questi riconosciamo Franco. E' bello vedere che sta bene ed è solo a una decina di minuti da noi.
Luca conosce bene queste montagne e durante la terza salita, quella che ci porterà fino a passo Sella, mi presenta una ad una le montagne e le valli che ci circondano. Abbiamo persino l'onore di fare una foto con sua maestà la regina delle Dolomiti: la Marmolada. E' in bella mostra, baciata dal sole e noi non ci facciamo sfuggire l'occasione.
A metà della salita sento che qualcosa non va: lo stomaco, che fa i capricci da qualche giorno, inizia a darmi fastidio. Non dico nulla e stringo i denti, ma gli ultimi metri di salita fino al passo sono interminabili. Per fortuna al ristoro del valico trovo delle bevande calde a base di sali e mangio della banana e un po' di cioccolato. Dico a Luca di partire da solo, io preferisco rimanere qualche minuto in più a rifiatare. Gli addetti al ristoro sono cordiali, capiscono la situazione e mi incoraggiano. Riparto convinto di farcela e a metà della discesa per Selva Gardena riesco a raggiungere Luca ed assieme il rilevamento cronometrico del comune gardenese. Manca solo l'ultima salita e dando un'occhiata al cronometro ci accorgiamo di aver viaggiato alla grande, oltre ogni più rosea aspettativa! Mangiamo qualcosa e riempiamo la sacca idrica dello zainetto: il sole è allo zenit e rimanere senza liquidi ora è un'esperienza che preferisco non provare. La salita, soprattutto a questo punto della corsa, non è delle più facili: la strada sale con pendenza costante per impennarsi vertiginosamente negli ultimi metri di dislivello. Raggiungere la vetta è una liberazione: i cinque chilometri che mancano al traguardo sono quasi esclusivamente in discesa. Luca lamenta qualche dolore ai quadricipiti, così decide di non perdere troppo tempo al ristoro e riparte subito, io invece preferisco approfittare di quanto ci viene offerto. Riprendo Luca poco sotto il passo Gardena, vede che sto bene e mi dice di continuare da solo. Mi dispiace perché siamo arrivati fin qui assieme e sarebbe bello tagliare il traguardo appaiati. Questa volta però il mio passo è più veloce e quindi proseguo la discesa con decisione lungo i sentieri ed i boschi che mi riportano a Colfosco. In questo tratto incrocio molti turisti che salgono al valico. Sono per lo più tedeschi. Quando mi vedono arrivare con il mio pettorale numero 108 mi fanno strada e mi applaudono dandomi la carica per concludere questa fatica.
Quando manca poco più di un chilometro intravedo il campanile del paese nei pressi del quale è posto il traguardo. Ormai so che è fatta e quando attraverso il traguardo l'emozione è più grande della fatica. Trattengo a stento qualche lacrima e mi godo il piccolo momento di gloria che è riservato a tutti i “finisher”, ovvero gli atleti che arrivano in fondo (indipendentemente dal tempo e dal piazzamento).
Con sorpresa, consultando la classifica, scopro di aver chiuso in 36esima posizione con un tempo di 7 ore 33 minuti e una manciata di secondi. I miei compagni arriveranno poco dopo di me, tutti entro le otto ore: grandissimi!
Un massaggio, un piatto di pasta in compagnia, quattro risate e dopo la doccia si rientra a casa con indelebili emozioni da raccontare, nuovi e meravigliosi luoghi da rivivere nei ricordi e la consapevolezza di aver portato a termine una piccola impresa personale.
Questo articolo è presente anche su: